Il rapporto di Alfredo Oriani con la bicicletta è precoce ed estremamente sentito. Già nel 1894, a Faenza, capeggia una manifestazione contro un provvedimento comunale, che avrebbe dovuto imporre ai ciclisti di condurre gli amati velocipedi a mano. Nell’estate del 1897, invece, effettua una gita in solitaria dalla Romagna alla Toscana, percorrendo ben seicento chilometri con oltre seimila metri di dislivello complessivi. “Bicicletta”, pubblicato nel 1902, potrebbe considerarsi il resoconto di una passione viscerale, in bilico fra la raccolta di racconti autobiografici e l’apologia di un mezzo ancora inviso a molti (sia per il suo elitarismo che per la sua pericolosità). Ma è anche — e forse soprattutto — un preziosissimo documento di storia sociale: una fonte narrativa, agile e piacevole, sull’adozione, in Italia, di uno dei simboli più fortunati del progresso tecnico a cavallo fra XIX e XX secolo.
Alfredo Oriani (1852–1909) nasce a Faenza da una famiglia di nobili decaduti. Dopo aver studiato legge a Roma e aver esercitato, per breve tempo, la professione di avvocato a Bologna, si trasferisce nella Villa del Cardello a Casola, dove resterà fino alla fine, lavorando come viticoltore e scrivendo. Oriani è infatti un autore prolifico, che nel corso degli anni produrrà vari saggi di storia, pamphlets politici e libri di narrativa. Fra i suoi molti titoli si possono citare il manifesto socialista “La rivolta ideale” (1908), la rigorosa disamina storiografica “La lotta politica in Italia” (1892) e i romanzi “Gelosia” (1894) e “Vortice” (1899).