piè sospinto. Ricordo che una volta, taciturno com’ero, a un tratto attaccai lite con Zverkov perché, ragionando nel tempo libero con i compagni delle sue future imprese di seduttore e scatenandosi alla fine come un giovane cucciolo al sole, a un certo punto aveva dichiarato che non si sarebbe lasciato scappare neppure una ragazza del suo villaggio, che quello era il suo droit de seigneur e che, se i contadini avessero osato protestare, li avrebbe frustati tutti e avrebbe raddoppiato il canone a tutte quante quelle canaglie barbute. I nostri tangheri applaudivano, ma io attaccai lite, e non certo per compassione delle ragazze e dei loro padri, ma semplicemente perché applaudivano così a un simile verme. Allora ebbi la meglio, ma Zverkov, benché fosse stupido, era allegro e audace, e perciò se la cavò con una battuta, e così abilmente che io, in verità, non trionfai del tutto: il riso restò dalla sua parte. In seguito ebbe ancora diverse volte la meglio su di me, ma senza risentimento, così, scherzando, di passaggio, ridendo. Io, risentito e sdegnoso, non gli rispondevo. Dopo la licenza fece un passo verso di me