Occorre capire in quali tempi abbiamo vissuto, occorre sapere da dove veniamo, chi siamo stati. Senza questa conoscenza, l’uomo è destinato a ripetere i propri errori. Era questo che mi sentivo dire spesso. Ma su questo, sulla necessità della conoscenza della nostra storia come salvacondotto per il futuro, comunque, nutro qualche dubbio. Forse gli errori noi li commettiamo ripetutamente, li rifacciamo ostinatamente, nonostante la storia, perché non possiamo farne a meno. Forse siamo costruiti così, fatti apposta per commettere errori. Forse l’errore è parte integrante del nostro corredo genetico; o per lo meno di ciò che ne resta dopo tutti questi millenni in cui la natura e la storia lo hanno manipolato, modificandolo. Ci attrae, l’errore. O forse l’errore è parte integrante del mio patrimonio genetico, non di tutti. Io, questo, non lo posso sapere. Dopo aver compreso tutto dell’uomo e del mondo, siamo stati capaci di fare quello che ci sembrava impossibile. Siamo esseri realmente grotteschi, ma tenaci. La nostra fragilità è la nostra forza, la crudeltà il nostro destino, la pietà e l’amore l’unica campana che suona nel mare in burrasca e ci segnala la via per la scialuppa.
Eppure, in mezzo a questo grande mare, a bordo di questa scialuppa sgangherata, siamo ancora e sempre in cerca del sentiero, della pista che ci possa portare verso il nostro albeggiare. Questa ricerca spasmodica di una strada è la nostra pionieristica, il nostro tao. E’ il destino che era scritto nei nostri geni quando siamo fuggiti dall’Africa, quando ancora c’erano i continenti, quando l’uomo era signore e padrone di null’altro che della propria esistenza. Quella via, quella pista era lì anche per migliaia di altre specie animali, ma l’abbiamo intrapresa soltanto noi.