«Essere buffone era cosa abbastanza dolorosa, ma infinitamente più doloroso era dover confessare che sotto la mia giubba era nascosta una personalità patrizia. Infatti, per quanto possa essere vile il mestiere del buffone, non è mai altrettanto vile per un plebeo indolente o infermo, quanto per uno che vi si è messo un po’ per codardia, e ha continuato ad esercitarlo attraverso ogni degradazione».
Ambientato in una colorita Italia rinascimentale, segnata da violenze di ogni tipo, “La vergogna del buffone” è uno di quei romanzi “cappa e spada” per cui Rafael Sabatini ha ottenuto immensa popolarità all’inizio del XX secolo. Protagonista della vicenda è lo sventurato Lazzaro Biancomonte, uomo di nobile stirpe ridottosi, per una serie di ragioni, a fare da giullare di corte. Sono gli anni in cui imperversa la figura avventurosa di Cesare Borgia — detto il Valentino — autentico prototipo di principe cinico e ambizioso. Riuscirà Lazzaro, al seguito della bella Madonna Paola di cui è innamorato, a trovare una redenzione dalle sue scelte discutibili?
Rafael Sabatini (1875–1950) nasce a Jesi, figlio di due cantanti d’opera rispettivamente italiano e inglese. Cresciuto dunque in un ambiente cosmopolita, diviso fra Inghilterra, Portogallo e Svizzera, già a diciassette anni padroneggia cinque lingue. Inizia a scrivere i primi racconti attorno ai vent’anni, anche se il primo vero successo lo avrà solo col romanzo “Scaramouche” (1921). Da allora produrrà romanzi a un ritmo notevole — anche uno all’anno — creandosi un nutrito seguito di lettori fedeli, grazie anche a libri come “Captain Blood” (1922), “Bellarion the Fortunate” (1926) e “Venetian Mask” (1937). La scelta di scrivere in inglese, come ammesso da lui stesso, sarebbe dipesa dal proposito di emulare la ricchissima letteratura di età vittoriana.