Fra i carmi più celebri in assoluto della storia letteraria italiana, “Dei sepolcri” rappresenta un manifesto della poetica e dell’indole personale di Ugo Foscolo. Composto fra l’estate e l’autunno del 1806, durante il soggiorno bresciano del poeta, esso prende polemicamente le mosse da quanto emanato nell’Editto di Saint Cloud (1804), in quello stesso anno esteso anche ai territori del Regno d’Italia napoleonico. In esso si stabiliva l’obbligo di seppellire i defunti in luoghi posti all’esterno degli abitati, in zone salubri e senza la discriminazione sociale rappresentata dalle iscrizioni. Rifacendosi all’esempio della basilica fiorentina di Santa Croce, invece, Foscolo individua nei cimiteri un luogo non solo sacrale, ma anche necessario ad ispirare alla società le più alte virtù.
Un classico intramontabile della letteratura italiana.
Niccolò Foscolo (1778–1827) nasce nell’isola ionica di Zante. Trasferitosi da Spalato a Venezia, assisterà personalmente alla caduta della millenaria Serenissima Repubblica. Muovendosi fra i salotti letterari e le biblioteche, Ugo — come sceglie di farsi chiamare — si interessa ben presto alla politica, restando profondamente deluso dal Trattato di Campoformio, con cui Napoleone cede Venezia agli austriaci. Ciononostante, animato da fermi ideali repubblicani, si arruola volontario nelle armate rivoluzionarie, combattendo sul Trebbia e a Genova. Considerato uno dei capostipiti italiani del classicismo e del romanticismo, è autore di opere fondamentali della letteratura nostrana, sia in versi che in prosa: dal romanzo “Le ultime lettere di Jacopo Ortis” alla tragedia “Tieste”. Perseguitato dalla polizia asburgica, morirà, esule e povero, a Londra. Le sue ceneri saranno traslate a Firenze, nel 1871, in ossequio al suo celeberrimo carme “Dei Sepolcri”.