Un giovane borghese, avvezzo alla vita mondana e agli agi di città, è costretto a trasferirsi in provincia a causa della morte del padre, il quale ha precedentemente dissipato tutte le ricchezze della famiglia. Dopo aver accettato un posto come sottosegretario di prefettura in una “cittadina di ventimila anime, capoluogo di Barbogeria”, il protagonista stringe amicizia con la moglie del farmacista. L’amore contrastato per quest’ultima lo trascinerà (e noi con lui) nel sonnacchioso universo di una realtà totalmente “altra” da quella della sua metropoli: fra commoventi scorci di paesaggio e fulminee pennellate espressive — come nel miglior stile di Linati — di fronte a chi legge si stagliano la monotonia di una provincia profonda, che potrebbe essere Como, e la disperata ricerca dei protagonisti, volta ad esorcizzare la noia attraverso l’arte e la spiritualità. Un romanzo senza tempo: duro, incisivo e malinconico, proprio come l’immaginario che racconta…
Carlo Linati (1878–1949) nasce a Como da una famiglia originaria di Gravedona. Laureatosi in legge all’Università di Parma (1906), esercita brevemente la professione di avvocato a Milano. In quegli stessi anni inizia ad ottenere un certo successo anche come scrittore, dapprima con la stesura di racconti e romanzi allegorici, poi, soprattutto, con i suoi celebri resoconti di viaggio: collaborando col Touring Club Italiano, Linati girerà infatti l’Europa con i più svariati mezzi, pubblicando vari reportage sulle principali testate italiane. Estremamente legato alla sua terra — celebrata in romanzi come, ad esempio, “Cantalupa” — Linati si distingue anche come brillante traduttore di James Joyce, con cui intrattiene un lungo rapporto di amicizia.